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stato unico, quanto se sia stato ripetuto. Per tali periodi di non lavoro, mentre prima il lavoratore aveva
diritto ad essere comunque retribuito a decorrere dalla messa a disposizione delle energie lavorative pur
non avendo lavorato, oggi e’ prevista solo l’indennita’ da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12
mensilita’.
Al contrario, per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso di sequenza di contratti) il lavoratore
ha diritto ad essere retribuito ed ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della
anzianita’ di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianita’.
Questa interpretazione della Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5 e’ la piu’ coerente sul piano
logico sistematico. Si coordina con i tratti del sistema delineato dalle Sezioni unite che, come si e’ visto e
come hanno sottolineato le decisioni del 2012, sotto questo profilo rimangono fermi, ed e’ in continuita’
con i primi interventi di questa Corte successivi alla modifica legislativa. E coerente con i principi
espressi dalla Legge n. 230 del 1962, articolo 5 e dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 6
nonche’ con i principi costituzionali e del diritto dell’Unione Europea: in particolare con il principio di
non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, anche e
specificamente in ordine all’anzianita’ di servizio, affermato con la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio
del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
La Corte territoriale non si e’ attenuta agli indicati principi.
5. Il secondo motivo non e’ fondato.
La parte che censuri la sentenza di primo grado, lamentando una liquidazione inferiore al dovuto ed al di
sotto dei minimi in relazione alla natura e valore della causa ha l’onere di fornire al giudice di appello gli
elementi essenziali per la rideterminazione del compenso spettante al professionista, indicando, in
maniera specifica ed analitica, gli importi e le singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo
grado (solo in presenza della quale il giudice non puo’ limitarsi ad una globale determinazione dei diritti
di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare
adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata). In mancanza delle
suddette indicazioni – cui la parte non puo’ ovviare ex post con la riproduzione in sede di ricorso per
cassazione della nota spese) e’ da presumere che la liquidazione sia avvenuta con riferimento a quel che
risulta dagli atti, quanto alla corrispondenza fra l’attivita’ svolta dal difensore e la somma spettante a
titolo di spese, diritti ed onorari (cfr. Cass. 9 luglio 2009, n. 16149; si vedano anche Cass. 27 marzo 2013,
n. 7654; Cass. 4 luglio 2011, n. 14542; Cass. 9 luglio 2009, n. 16149; Cass. 19 giugno 2009, n. 14455).
Nella specie, dal motivo di appello, come risultante dal ricorso per cassazione (pag. 23), si evince che il
ricorrente si era lamentato della “incongruita'” della liquidazione delle spese opponendo un preteso
importo complessivo di diritti ed onorari redatto con la considerazione dei valori “medi” dello scaglione
di riferimento (indicato in quello di valore compreso tra euro 51.700,00 ed euro 103.300,00). Non risulta,
pero’, che l’appellante avesse precisato nel ricorso al giudice del gravame le voci singolarmente
determinanti il suddetto importo complessivo ne’ invero risulta se e quando la relativa nota spese fosse
stata sottoposta al giudice di primo grado. Neppure, invero, era stata espressamente dedotta, in sede di
appello, una liquidazione degli onorari in misura inferiore ai minimi delle tariffe professionali cosi’ come
innanzi al giudice di appello non era stata specificamente censurata la determinazione quantitativa dei
diritti e degli onorari con riferimento a tutti i parametri tariffati rilevanti. Il devolutum, dunque, era stato
circoscritto alla sola “incongruita'” della liquidazione (tanto dei diritti quanto degli onorari) senza che il
giudice di appello fosse messo in condizione di rilevare l’eventuale specifico errore. Anche in questa sede
di legittimita’ (ove per la prima volta la ricorrente si duole di una liquidazione al di sotto dei minimi di
cui alla tariffe professionali ratione temporis vigenti) e’ mancato ogni elemento per valutare
l’espletamento di determinate attivita’ difensive svolte a favore della parte, nonche’ per l’individuazione
dell’esatto scaglione tariffario di riferimento in ragione del valore complessivo della lite sulla base del
contenuto effettivo della decisione (criterio del “decisum”). Tali considerazioni, unitamente al rilievo che
la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice
che, se contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa, non richiede specifica motivazione e non puo’
formare oggetto di sindacato in sede di legittimita’, se non quando l’interessato specifichi le singole voci
della tariffa che assume essere state violate (cfr. in tal senso Cass. 23 maggio 2002, n. 7527; Cass. 22