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La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha emesso in data 19 febbraio 2016 una importante
sentenza di condanna nei confronti di un’Azienda colpevole di non aver ottemperato agli obblighi di Legge
in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nel caso in specie, una piccola Filiale aveva subito - tra l’ottobre 1996 e il settembre 1997 - ben quattro
rapine. Successivamente il Direttore della Filiale, colpito da infarto miocardico acuto, ha richiesto al
Datore di Lavoro il riconoscimento del danno biologico e morale per non aver adottato tutte le misure di
sicurezza necessarie a tutela dei Lavoratori e della loro integrità “fisiopsichica”.
In sede di primo giudizio, il Giudice del Lavoro respingeva il ricorso del Dipendente. Nel secondo
grado di giudizio, promosso dal Dipendente, la Corte d’Appello di Firenze riformava la Sentenza di
primo grado e condannava l’Azienda al pagamento, in favore dello stesso Lavoratore, del danno
morale. L’Azienda, quindi, ha presentato ricorso in Cassazione.
I Giudici della Suprema Corte di Cassazione – nel confermare il giudizio della Corte d’Appello di
Firenze e quindi condannare definitivamente l’Azienda al riconoscimento al Lavoratore di una
somma a titolo risarcitorio per danno morale – hanno, peraltro, confermato con forza il fatto che
rimane in capo al Datore di Lavoro l’adozione di misure protettive idonee anche rispetto al rischio
rapine
.
I Supremi Giudici hanno, inoltre, stigmatizzato il fatto che,
in relazione alla concreta situazione di
pericolo ed all’obbligo di tutela dell’incolumità del Personale
della Filiale,
l’Azienda
è rimasta
assolutamente inerte
e non ha ottemperato, tra l’altro, a quanto previsto anche dall’art. 2087 del Codice
civile (disposizioni in materia di massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale concretamente
fattibile).