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La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 5006 del 28/2/2013, ha fornito importanti precisazioni in tema di valutazione
dell’adeguatezza della massima sanzione disciplinare irrogata dal Datore di Lavoro al proprio Dipendente.
Nel caso preso in esame, un Dipendente di Banca era stato sottoposto a procedimento disciplinare, conclusosi poi con il licenziamento
per giusta causa, avente ad oggetto la contestazione di addebiti per l’esecuzione di una serie di operazioni consistenti nell'apposizione
di firme di clienti non conformi agli specimen, nella vendita disposta da un cliente su titoli di proprietà di altri clienti e nell'aver fatto
apporre su ordini di acquisto firme di clienti del tutto diverse dagli ordinanti.
A seguito del ricorso avanzato dal Lavoratore contro il provvedimento adottato dalla Banca, sia il Tribunale che la Corte
d'Appello di Napoli avevano dichiarato illegittimo il licenziamento per eccessività della sanzione, considerando gli aspetti
oggettivi e soggettivi della vicenda
quali l'assenza di precedenti disciplinari, la non gravità dei comportamenti addebitati, il
sovraccarico lavorativo oggettivamente aggravato dalla lentezza dei sistemi operativi, l'assenza di volontà di arrecare
nocumento al Datore di Lavoro, la mancanza di vantaggi personali nonché l'intento di semplificare l'attività per far fronte alla
massa di lavoro
.
La Corte d'Appello ha, inoltre, rilevato - come attenuante - il fatto che il lavoro dell'impiegato fosse sottoposto al controllo del
Responsabile della Filiale.
La Suprema Corte – nel valutare il ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello, presentato dalla Banca per vizi di
motivazione e violazione di legge – ha ricordato il principio in base al quale in tema di licenziamento per giusta causa occorre
tenere conto del fatto che la mancanza del Lavoratore sia tanto grave da giustificare l'irrogazione della sanzione del
licenziamento. A tal fine, va valutato il comportamento del Lavoratore non solo nel suo contenuto oggettivo, ossia con riguardo
alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni
espletate ma anche nella sua portata soggettiva e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato
posto in essere.
La Suprema Corte ha, inoltre, richiamato la precedente giurisprudenza secondo cui, in caso di verifica giudiziale della correttezza del
procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella
valutazione della gravità dell'inadempimento del Lavoratore e dell'adeguatezza della sanzione.
La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso promosso dalla Banca
motivando la decisione con il fatto che la Corte
d’Appello di Napoli, nel valutare la proporzionalità tra fatti addebitati e sanzione adottata, ha tenuto correttamente conto, con
motivazione priva d'incongruenze logiche, degli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del rapporto di lavoro,
nonché delle circostanze del suo verificarsi, dei motivi e della intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo.
La
Suprema Corte ha, conseguentemente, confermato che
l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta ingiustificata in
quanto non sussiste un inadempimento degli obblighi contrattuali notevole ovvero tale da non consentire la prosecuzione,
neppure provvisoria, del rapporto.